Pubblicato in: Leonardo, anno I, fasc. 5, pp. 1-4
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Data: 22 febbraio 1903
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Come tutte le antiche virtù che gli storici ottimisti, per postuma adulazione, attribuiscono ai nostri avi, anche la pietà filiale e l'amor fraterno sono deplorevolmente in ribasso.
Ci sono ormai parecchi figlioli che si permettono di pensare diversamente da' loro padri — il che non si dovrebbe tollerare in una società ben ordinata - e ci son dei fratelli, che invece di stringersi tutti i momenti al seno, come nei vecchi romanzi morali, si maltrattano a vicenda e si guardano in cagnesco.
E questa dolorosa decadenza non si ferma — ahimè — fra le pareti domestiche, ma anche le collettività, anche i popoli, anche i partiti ne sono ormai minacciati. Per chi abbia buoni occhi da vedere e pochi idoli da rispettare, non ne mancano ormai dei tipici casi. Per oggi ne considereremo uno dei più gravi: quello del Socialismo.
Chiunque volesse trovare qualcosa che più sia prossimo e affine all'anima socialista dei nostri tempi, a chi potrebbe ricorrere se non alla borghesia e alla chiesa, che le hanno dato origine e nutrimento, contenuto e forme?
Eppure noi vediamo i nostri socialisti, figli immemori e fratelli snaturati, cha in tutte le loro gazzette, illustrate e non illustrate, in tutti ì loro opuscoli, da due a cinquanta centesimi, si scagliano infaticabilmente, o con grandi colpi di tam tam retorico, o con sonatine di positivismo, contro i borghesi e contro i preti.
Io non ho certo soverchia pietà per queste due rispettabili categorie di persone, non fosse altro perchè si mostrano così mediocri giostranti, ma non ho neppure soverchia simpatia per gli assalitori, e da buon filosofo, che cerca di considerare le cose al di fuori delle contingenze dello spazio e del tempo, non mì dispiace di analizzare un poco questo curioso problema di fisiologia storica. Ed io farò soprattutto della fisiologia comparata e, senza farmi deviare dalla varietà dei nomi e delle dimensioni, mi diletterò a mostrare l'identità fondamentale dei più arrabbiati nemici che van combattendo oggi le loro giostre sull'Arena popolare della politica.
Quando tutti tacciono, o per corta veduta o per interesse o per viltà, non è forse inutile che qualche spirito libero, che non sogna furtivi amori con vecchie carcasse in decomposizione e non aspira a salire sul barcollante e poco pulito sgabello della popolarità piazzaiola, metta in chiaro la fede di battesimo e il passaporto di questi nuovi arrivisti che s'illudono di portarci una nuova parola e una nuova civiltà.
C'è il caso di scoprire, fra i camiciotti e i cenci rossi, il profilo familiare di qualche furiere in ritiro e di qualche teologo da villaggio.
Il socialismo è la filosofia dei poveri: per essere in carattere ha cominciato coll'accattare. Fino a oggi è vissuto di rapina e d'imprestito: e quelli che non se ne sono accorti son dei servitori che giudicano degli uomini dagli abiti e dai titoli.
Disgraziatamente nel mondo delle idee gli abiti nuovi, o rinfrescati, e i titoli nuovi non bastano a dar diritto di cittadinanza: c'è sempre qualche analista smascheratore che si diverte a far la genealogia dei sospetti. Ed è giusto che questa non piaccia a chi ha qualcosa di poco piacevole da nascondere. E per una dottrina antiborghese e anticlericale non dev'esser molto piacevole vedersi rintracciare le origini borghesi e religiose.
Eppure come farne a meno? Dalle sue origini fino a noi che ha fatto il socialismo se non assimilare idee e tendenze borghesi e religiose e adattarle a' suoi fini, esagerandole?
Questa fede di ribelli ha dovuto bere alle stesse fonti de* suoi nemici, questa epifania di novità s'è ridotta a copiare spiriti e forme da' vecchi. Le differenze che separano i socialisti da' loro creditori sono più quantitative che qualitative: sono dei copisti che mettono la loro originalità nel raddoppiare le proporzioni, son dei ragionatori che si limitano a trarre le conclusioni da premesse poste da altri: sono, tutt'al più, dei continuatori, ma non dei creatori.
Io non so trovare una definizione del socialismo meno inesatta e più profonda di questa: un movimento ultraborghese con caratteri religiosi.
E per quanto io ritenga che le dimostrazioni sian tanti schiaffi all' intelligenza del lettore, pure io mi piegherò, a uso dei cervelli
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lenti, a qualche raffronto e a qualche indicazione. E prendiamo, per cominciare, l'elemento schiettamente ed esageratamente borghese del socialismo.
Uno dei caratteri salienti del borghese, quale ce lo rappresentano ogni giorno gli stessi popolari, è la preoccupazione del benessere materiale. Il tipo, ormai classico, del «grasso borghese», quale appare in tutte le figurazioni democratiche, è un uomo che pensa soprattutto a empire il ventre e la borsa.
I socialisti accettano completamente questa veduta: anch'essi desiderano, soprattutto e avanti tutto, l'aumento del benessere materiale, e i loro sociologi hanno fatto della questione del ventre il fondamento della storia sotto il nome significativo di materialismo storico.
Essi non ce l'hanno coi borghesi perchè stanno, materialmente, bene, ma semplicemente perché non possono star bene come loro. Odiano i borghesi non perchè sian borghesi, ma perché tutti non son borghesi. Il socialista, se ben si guarda, non tende, in fondo, ad esser qualcosa di diverso dal suo nemico, ma semplicemente a divenire a sua volta un piccolo borghese, proprietario in partibus di tutti i beni della terra, e che abbia sempre a sua disposizione il suo pasto, il suo letto e la sua femmina.
Ma i borghesi, si dirà, pensano soltanto a loro stessi, mentre i buoni, i virtuosi socialisti, si curano della sorte dell'umanità intera vogliono che tutti godano i beni del mondo. L'osservazione avrebbe valore se le parole significassero qualche cosa nel mondo dei fatti, ma noi sappiamo ormai qual senso abbia l'altruismo nella pratica proletaria. Tutte le leghe e le sezioni di questo mondo non stanno in piedi che in vista dì tanti piccoli benefici individuali a breve scadenza, e il piú grande argomento che persuada un lavoratore ad iscriversi nelle associazioni non è il fervorino umanitario dell'oratore in voga, ma la dimostrazione chiara e netta che egli potrà, lui in carne ed ossa, lavorar di meno, e guadagnar di più. Per quanto si faccia l'egoismo fondamentale dell'uomo è più forte delle belle favolette evangeliche e dei luoghi comuni del sentimentalismo egualitario.
Cos'è mai la solidarietà, secondo la bella frase di Demolins, se non un egoismo che si vergogna?
E cos'è mai il socialismo se non l'egoismo dei deboli che si stringono insieme per esser forti?
L'egoismo non è dunque una caratteristica borghese, ma una necessità universale alla quale non sfuggono neppure i più arrabbiati altruisti che van predicando sotto il lume del sole. I sinceri non son forse degli egoisti incoscienti che trovano il loro piacere anche nel piacere degli altri?
Ma è vezzo comune degli uomini accusare gli altri di ciò di cui sono impeciati essi stessi e non ci sfuggono neppure gli ingenui seguaci dell'Idea. Così essi accusano tranquillamente i borghesi di non voler lavorare mentre essi medesimi aspirano a lavorare sempre di meno; li rimproverano di usare del numero e della forza ed essi si giovano del voto, delle associazioni e delle rivolte; li chiamano sfruttatori ed essi a loro volta vorrebbero impadronirsi di tutto ciò che i proprietari hanno accumulato col proprio lavoro, o manuale (risparmio) o intellettuale (astuzia).
Ed è naturale che socialisti e borghesi abbiano tanti punti di contatto: i loro fondamenti teorici, che sono espressioni di tendenze e necessità pratiche, sono in fondo gli stessi, provengono da una stessa sorgente. I postulati democratici: Libertà, eguaglianza, giustizia, non sono di fabbrica proletaria ma di origine e di proprietà borghese. È proprio necessario ricordare che l'Enciclopedismo umanitario e la Rivoluzione dell'89 sono i precedenti filosofici e storici che prepararono la via alla teoria e all'azione socialista? Date le idee di eguaglianza, di libertà, di razionalità, di progresso, tutte le beate frasi di Rousseau e le candide speranze di Condorcet, cosa hanno fatto i socialisti se non estenderle, stirarle e diluirle? Ai diritti dell'uomo aggiunsero il diritto al lavoro, ch'è, fra parentesi, il più stupido di tutti; all'eguaglianza giuridica, proclamata se non praticata, aspirano di aggiungere l'eguaglianza economica e, chissà?, anche l'eguaglianza intellettuale!
Nelle loro mani il vecchio e ridicolo paradosso borghese dell'eguaglianza degli uomini, è stato spinto a tutte le più assurde conseguenze e forma il tacito presupposto di tutte le teorie socialiste. Tutti gli uomini hanno uno stomaco, dunque tutti debbono mangiare; tutti gli uomini hanno due braccia, dunque tutti debbono lavorare; tutti uomini hanno un cervello, dunque tutti debbono sapere. Sono del medici che visto l'effetto di una certa droga vogliono farla ingollare a tutti i malati, senza distinzione di temperamento e di malattie.
Non pensano che tutti non possono sostenere certi doni, che tutti non son degni di certi doni: sul più grazioso controsenso che abbiano escogitato gli egualitari borghesi, essi voglion costruire il più ingenuo ideale di Società.
E parlano di Libertà come se questa fosse tale quando tutti la possedessero e come se tutti fossero capaci d'esser liberi - e parlano di giustizia come se ci fosse ai nostri ordini una tariffa celeste, suprema e assoluta che indicasse immutabilmente il giusto e l'ingiusto, come se ci potesse esser qualcosa di più che un instabile conflitto di interessi, dove i vinti si consolano con delle belle parole — e parlano di verità, come se questa fortunata parola significasse qualcosa di diverso da un'affermazione utile alla vita individuale, e come se non ci fossero tante verità quanti son gli uomini e i momenti.
E cosa diremo del lavoro, eretto da noiosa necessità a virtù superiore, e che i borghesi e i socialisti santificano a gara, forse per addossarselo l'un coll'altro ?
Nelle idee sociali regna dunque il più completo accordo: tra padroni e servi, tra borghesi e proletari. Tutte le differenze stanno tutt'al più nell'estensione di certi principi: i primi arrivano fino a un certo punto e gli altri vorrebbero andar più là. Ma le differenze quantitative sono le meno differenziali che esistano: i punti di partenza sono, qualitativamente, identici.
E, anche le idee o le parole morali delle due classi sono precisamente le stesse: pace, amore, benevolenza, carità, non si trovano forse tanto nelle pagine dei moralisti conservatori che negli opuscoli e nei sogni futuri dei rifacitori del mondo? Leggendo certe pagine del socialista De Amicis non vi pare di sentire, dilungata e rimodernata, qualche vecchia pagina del clericale Silvio Pellico o del liberale Tommaseo? Ma neppure le tendenze contrarie alle pacifiche sono di esclusiva proprietà socialista. Lo spirito rivoluzionario che alcuni apostoli vogliano mantener vivo nell'esercito popolare, non è forse un ferravecchio borghese tirato fuori per l'occasione?
Le rivoluzioni politiche dell'Inghilterra e dell'America e quelle nazionali della Spagna, della Grecia, dell' Italia e della Polonia non furono, credo, delle rivoluzioni socialiste ed è probabile anzi che certi vecchi borghesi, come Mazzini o Kossuth, avrebbero potuto dare delle piccole lezioni di metodologia sovversiva a Ferri e a Jaurés. Ma sembra ormai che gli spiriti bellicosi dei socialisti della prima ora si siano acquetatì, e forse l'imitazione borghese ci ha un pò contribuito. Oggi non son più così spensierati da curarsi soltanto del lontano avvenire, della terra promessa dello stato collettivista, ma son divenuti dei buoni borghesi rangés, che cercano di ottenere le piccole riforme, i piccoli vantaggi, le piccole istituzioni. Fanno parte dei ministeri borghesi, sorreggono i ministeri borghesi, metton da parte i piccoli gruzzoli per giocare al rialzo dei salari, hanno la loro gerarchia e la loro burocrazia, i loro organi ufficiali e officiosi: niente manca loro per avvicinarli sempre più ai loro avversari. Anzi per combatterli non hanno trovato niente di meglio che imitarli in ventiquattresimo; e hanno preso di pianta dai borghesi l'ordinamento dello stato. Così hanno oggi i loro piccoli parlamenti (congressi, direzioni generali), emettono delle sentenze (esclusioni dal partito ecc.), ed hanno creato i loro consigli municipali (camere di lavoro) e i loro corpi d'armata (federazioni nazionali). Poiché i popolari che sbraitano tanto contro l'esercito ne hanno semplicemente costituito un altro, di cui i capiparte più in vista sono i generali, i nuovi convertiti le reclute, le sezioni e le società le compagnie e i reggimenti, e le elezioni le riviste le battaglie e dove si apprezza soprattutto la virtù militarista per eccellenza: la disciplina. In questo esercito proletario non mancano neppure le uniformi, per quanto si riducano a dei simboli, come un fiore preferito, e non mancano i canti di guerra, come vi sono di tanto in tanto le insubordinazioni e i pronunciamentos. Gli uomini posson cambiar di montura e di padrone ma son pur sempre dei piccoli e stizzosi esseri che hanno bisogno delle loro piccole abitudini e dei loro piccoli tradimenti. E non posson nemmeno sfuggire alle loro piccole immoralità e con la copia dell'organizzazione borghese han preso piede tra i socialisti le piccole magagne che li fanno strillar come tante vestali pudibonde quando le scoprono nelle reali o imperiali amministrazioni. Come le minoranze in cerca di strumenti, che non son disoneste perchè non governano, anche i
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socialisti hanno alzato piú che gli altri la voce quando è venuto a galla qualche scandalo borghese.
Ma oggi, per consolazione degli scettici che sanno ormai di qual fragile stoffa sia fatta la coscienza degli uomini, non son più rari i casi di cassieri di Leghe di resistenza o di Camere di Lavoro che si appropriano í denari dei buoni compagni come un capitalista qualsiasi, e in tutte quelle amministrazioni comunali o altre ove i socialisti sen riusciti a dominare, si rinnovano le .vecchie necessità del favoritismo partigiano e nei pubblici uffici si preferiscono i fedeli coscienti, come s'è usato fare da tutte le consorterie borghesi di questo mondo.
Ma più gravi macchie hanno in comune, a nostri occhi, socialisti e borghesi e sono l'antintellettualismo e l'antindividualismo. L'attività libera ed esclusiva dell'intelletto non è per loro: e l'accolgono negli altri con ironia o con indifferenza. Sono degli utilitari, dei positivisti: e non si vergognano a pregiar pìù dei brevetti per degli stantuffi che un poema dell'irreale o una teoria della conoscenza.
Un borghese medio e un operaio son comuni anche in questo: che non capiscono nè una sinfonia di Wagner nè un paradosso di Nietzsche. Quanto all'arte il popolo si contenta delle storie dei briganti a delle canzonette equivoche perchè costan pochi soldi; i borghesi che possono spender di più, leggono i romanzi francesi dove vi son pure i delitti e le porcherie: i gusti sono eguali e soltanto i mezzi diversi. L'ingegno è di pochi e conservatori e socialisti son molti: presi in massa sono dunque inintelligenti, perciò antintellettuali. Tanto un banchiere che un fabbro ferraio si accordano a dire ch'è perfettamente inutile studiare la metrica d'Omero o il problema dell'infinito.
Tutt'al pìù apprezzeranno ambedue certe scienze pratiche, come la chimica o la meccanica, perchè sono di una immediata applicazione, ma non hanno troppa simpatia, anche nelle scienze, per il calcolo infinitesimale o la paleontologia.
In filosofia, quando si ricordano che esiste qualcosa di questo nome, hanno il rispetto scrupoloso del buon senso, cioè della filosofia meno filosofica ch'esista e tutt'al più si elevano alle vette del positivismo, di questa timida dottrina da manovali, che è divenuta, com'era naturale, la fede comune di gran parte de' borghesi ed è la filosofia ufficiale dei socialisti.
Essi odiano, con esemplare concordia, la speculazione e il paradosso: chi non sa che si chiama metafisica ciò che non si riesce a comprendere e sofisma ció che non si sà confutare? Speculazioni e paradossi sono prodotti troppo personali ed è impossibile che possano mai conciliarsi la simpatia della folla in soprabito o della folla scamiciata: ed ogni gruppo ha odio e timore dell'individuo. La società borghese odia tutto ciò che tenta elevarsi sulla signoreggiante mediocrità, e tenta eliminare, come ospiti importuni, tutti coloro che rigettano le sue convenzioni e le sue offerte e vivono in una solitudine sdegnosa, all'occasione dominatori e non mai dominati. L'ideale borghese del governo dei molti, dei programmi comuni, delle regole uniformi è un ideale essenzialmente antindividuale e la nostra era democrateggiante è stata chiamata appunto il regno dell'impersonalità.
Tutti i grandi individui sorti nella società borghese hanno dovuto lottare disperatamente contro l'ostilità ostinata e rinascente della coalizione burocratica e misoneista e per dieci, per cento che hanno trionfato, chi può contar le migliaia dei vinti?
Questo odio dell'individuo, schiettamente borghese, è passato al solito, e s'è possibile esagerato, nel socialismo, il quale ha trovato l'espressione più perfetta di sè nell'ideale della società collettivista, nello stato Leviathan, che tutto fa, tutto è, e pensa collettivamente, e agisce collettivamente, mentre gli individui non sono che rotelle più o meno spedite dell'enorme macchinario sociale.
Collettivismo significa, per quanto dicano i soliti conciliatori, che vogliono stare in pace con tutti e amano le mezze misure e le posizioni medie, depressione e abbassamento della personalità. Aprite tutti ì libri intinti più o meno di socialismo e sentirete parlare di coscienza collettiva, dí azione collettiva, di giudizio collettivo e di Progresso collettivo, e c'è chi afferma tranquillamente, come recentemente il De Roberty, che l'individuo è una creazione della società, se pur non si ripete la straordinaria affermazione di Augusto Comte che non esistono uomini singoli ma soltanto l'umanità. Non ci manca altro che l'odio antipersonale non li riporti alle antiche ingenuità realistiche e che ci assicurino che la foresta esiste senza gli alberi, e che la pecora è un prodotto del gregge.
Forse son troppo ancora praticanti del luogo comune e del buon senso per arrivare fino a questo. Il paradosso li inquieta come tutto ciò ch'è ignoto e arrivano appena a permettersene qualcuno in economia politica.
Perchè l'economia politica è il loro campo preferito, e come Ferri disse la frase famosa che la sociologia sarà socialista o non sarà, così ormai l'economia è considerata socialista per diritto di preda e non mi meraviglierei che qualcuno mi dicesse che la gran differenza tra borghesi e socialisti risiede appunto nelle dottrine economiche.
Io vorrei però un po' sapere con precisione quali sono le dottrine economiche socialiste e domandandolo son sicuro che mi s'additerebbe la buona testa barbuta di Carlo Marx e l'immancabile «Capitale,» che amano soprattutto citare coloro che non l'han letto. Ed io convengo con loro che la dottrina marxista è l'unica che si possa arrogare il nome di scientifica: ma cos'è mai rimasto in piedi, di grazia, delle teorie del gran Lama dei proletari? Dopo che il Bernstein e il Graziadei hanno criticato il concetto del valore e del plusvalore, dopo che il Cornelissen e il Tcherkesoff hanno rigettata l'idea dell'accentramento capitalistico, e perciò anche la concezione così detta catastrofica, dopo che Merlino e Sorel hanno sfatata la leggenda dell'inevitabile riordinamento sociale comunista e lo stesso materialismo storico è stato considerato come tendenzioso da Arturo Labriola, o tutt'al più come un semplice arricchimento della coscienza storica, come da Benedetto Croce,(2) - cosa c'è ancora di solido e di persistente del vecchio vangelo economico del socialismo scientifico? La conclusione che ne traeva recentemente il Pareto nel suo bel libro sui «Sistemi socialisti» mi sembra singolarmente esatta: le dottrine di Marx, egli nota, sono ormai più un impaccio che un impulso al movimento proletario. E quando si verrà a sapere quali altre saranno sostituite allora sarà il caso di occuparsene.
Ma in fin dei conti bisogna pur decidersi a compatirli, questi poveri socialisti! Essi sono cosi occupati a spargere le idee che non hanno il tempo di farne, e trovano più semplice riadattare le vecchie. È questa un'abitudine tanto comune che non val la pena di rimproverargliela. Perché, in fondo, i socialisti, presi a uno a uno, son dei bravi figliuoli, pieni di buona volontà, con una riserva spaventevole dì fede e con una discreta dose d'ottimismo e d'egoismo. Sono dei semplici che non vanno nè troppo in alto nè troppo in fondo alle cose e che avendo scelto, per il loro istinto di mediocrità, l'ideale della classe media, vorrebbero renderlo possibile a tutti e nascondono, sotto il nome dì socialismo, nient'altro che un panborghesismo moderato.
Perciò non bisogna far loro il complimento dell'odio o l'elogio del disprezzo e non vorrei che le mie parole suonassero calunnia o rampogna. Come ci sono delle lodi che sono ingiurie così ci sono, è vero, delle semplici classificazioni che son delle offese, ma la colpa, in ogni modo, non è proprio mia. Io faccio delle descrizioni: tanto peggio per chi le prende come valutazioni. E del resto chi si dovrebbe irritare? I socialisti dovranno pur convenire che, insieme all'evangelico pane quotidiano, i borghesi sono una delle cose pìù necessarie di questo mondo. Senza loro, che hanno accumulato le ricchezze e organizzato l'industria, come si troverebbe la società di domani o di dopodomani? — Senza loro come trovare dei facili soggetti da pupazzetti o da declamazioni?
E se i padri meritano ancora un po' di rispetto, non vorreste un po' onorare la borghesia vostra madre, dalla quale sono usciti tutti gli iniziatori, tutte le guide e da cui escono ancor oggi la totalità dei capi e buona parte dei seguaci? Anzi a questa comunanza d'origine si deve forse la comunanza di gusti e di principi che abbiamo rilevato in questa breve scorsa. La quale dovrebbe finire, poiché ha preso un po' l'aria dí logica, colla soluzione di un problema: del perchè dell'odio irrequieto dei socialisti contro i borghesi.
Deriva forse dalla miopia e ristrettezza della mentalità socialista, che è giunta fino a scambiar Ferri per un grande scienziato e Ada Negri per una poetessa?
O è forse dovuta a quell'inconscio bisogno che provano tutti gl organismi di uccidere gli altri onde affermare la propria vita? L'antiborghesismo e l'anticlericalismo democratico sarebbero forse delle menzogne vitali ?
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È questa, mi pare, l'ipotesi migliore per spiegare questo fenomeno singolare.
Uno degli espedienti dei guerrieri di Nùtka, secondo narra il capitano Cook, consiste nel mettersi in testa, avanti di muovere alla battaglia o alla caccia, delle maschere orribili e strane onde spaventare i nemici e insidiare gli animali. I socialisti, da primitivi quali sono, hanno fatto senza saperlo qualcosa di simile e sopra la loro umile testa di buona pecora burocratica e cristiana hanno messo la maschera minacciosa della lotta di classe e della rivoluzione sociale. I poveri borghesi hanno cominciato a tremare e a pararsi alla peggio dai colpi, e, ìn mancanza d'altro, hanno adottato il metodo delle parolette melate e delle concessioni progressive. Ma a nessuno è venuto in mente di alzare le maschere temute e di proclamare, come nelle antiche commedie di Plauto, la sconosciuta fraternità dei rivali?
Questa volta, probabilmente, i fratelli non si vorranno riconoscere. Ma che importa? Questa bizzarra guerriglia fraterna sarà un episodio di più nella farsa mediocre della storia contemporanea.
(1) Un prossimo saggio sarà consacrato, ai caratteri religiosi del socialismo. ↑
(2)Uno de' libri fondamentali della critica marxista è quello di BENEDETTO CROCE, Materialisme historique et economie marxiste. Paris, Giard et Briére, 1901 ↑
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